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E-commerce, ecco gli impatti sul settore dei beni di consumo

30 Dicembre 2015 11:24
financialounge -  ecommerce internet mercati azionari Morgan Stanley Nic Sochovsky
Gran Bretagna (81%), Danimarca (79%) e Lussemburgo (78%): è questo il podio europeo dei paesi in cui i cittadini fanno più shopping online. La graduatoria europea dell’e-commerce stilata in base ai dati Eurostat, vede poi al quarto posta la Germania (73%), al quinto l’Olanda, e al sesto ex-aequo la Finlandia e la Svezia (71%). In Italia, invece, l’e-commerce cresce fino a raggiungere il 26%, ma resta abbondantemente al di sotto della media europea fissata al 53 per cento.

E’ interessante notare che anche in termini di preferenze nello shopping online i gusti degli italiani differiscano da quelli della media europea. In Italia, infatti, gli acquisti più gettonati tramite e-commerce sono stati i viaggi (42%) abbigliamento e articoli sportivi (entrambi al 37%) mentre in Europa abbigliamento e articoli sportivi (60%) hanno spopolato, davanti a viaggi e alberghi (52%), articoli per la casa e giocattoli (41%).

“I produttori di beni di consumo primari abituati a vendere tramite i canali tradizionali (supermercati e grande distribuzione) stanno subendo impatti importanti dall’evoluzione del commercio elettronico. I supermercati, infatti, sempre più sono spinti ad un eccessivo ricorso agli sconti, con un danno potenziale ai marchi dei produttori di beni di consumo primari” riferisce Nic Sochovsky, portfolio manager del team International Equity, che gestisce le strategie azionarie Global Franchise, Global Quality e International Equity di Morgan Stanley Investment Management. Oggi la grande distribuzione subisce attacchi su due fronti: sia da parte dei rivenditori più piccoli (piccoli alimentari/catene di discount) sia da parte dei distributori virtuali (come Amazon). Un contesto nel quale la grande distribuzione ha cercato di reagire sul lato dei fornitori, anziché sugli acquirenti: la conseguenza è stata quella di veder commercializzare più linee di prodotti.

“Nel Regno Unito, gli articoli della spesa settimanale comprendono mediamente solo lo 0,1% di tutte le linee offerte in negozio. Nel 70% dei casi, secondo stime di Kantar Retailing, le promozioni commerciali non hanno esito positivo. Trattandosi di un’importante leva che i produttori di beni di consumo primari usano per incentivare le vendite, ciò spiega la nostra preferenza per le imprese che adottano tattiche «push» (innovazione e media) anziché «pull» (promozione). Inoltre, questo è uno dei numerosi motivi per cui tendenzialmente evitiamo di acquistare catene di distribuzione di alimentari” puntualizza Nic Sochovsky secondo il quale, infatti, oltre ad avere livelli di redditività circa 5 volte inferiori a quelli dei marchi di cui vendono i prodotti, le catene di distribuzioni alimentari riescono a fatica a coprire il costo del capitale: ne consegue che circa il 90% degli utili lungo la catena del valore viene realizzato dai marchi.

L’e-commerce è tuttora nelle prime fasi di sviluppo, ma mostra già evidenti opportunità ai proprietari dei marchi notevoli. Consente infatti di accedere al mercato focalizzandosi su un preciso segmento di clientela e offrendo anche la personalizzazione dell’offerta in termini di servizio e di prezzo. “Prendiamo ad esempio il settore dei cosmetici, il cui vantaggio intrinseco consiste nel vendere prodotti online tra i più cercati: le vendite online di L’Oréal costituiscono circa il 5% del totale del gruppo e sono cresciute tra il 30 e il 40% in un anno e contribuiscono per oltre 150 punti base (1,50%) alla crescita del gruppo con margini superiori a quelli medi dell’azienda stessa” conclude Nic Sochovsky.
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