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Cina-USA, la “minaccia” sui Treasury può essere l’inizio delle tensioni

Nonostante le smentite di facciata, il debito americano viene giudicato eccessivo da Pechino: il timore è che si stia delineando una vera e propria guerra commerciale.

19 Gennaio 2018 10:28
financialounge -  cina donald Trump geopolitica T-bond titoli di stato treasury USA

In seguito alla pubblicazione dell’articolo "Riforma e riduzione di acquisti dall’Asia spingono i tassi in alto", diversi lettori ci hanno chiesto per quali ragioni le autorità cinesi stiano pensando di rallentare o addirittura sospendere gli acquisti dei Treasury USA. Le ragioni sono diverse e, come spesso accade quando si parla di economia cinese, non sempre chiarissime. Non a caso, subito dopo la fuga di notizie sulla presunta intenzione di Pechino di limitare gli acquisti di titoli americani, è arrivata una smentita ufficiale, anche se non troppo convinta. “La notizia forse cita una fonte sbagliata o potrebbe essere falsa", ha fatto sapere in una nota lo State Administration of Foreign Exchange (Safe), l’autorità cinese per gli scambi con l’estero.

Al netto delle smentite ufficiali, si può ragionare sulle ragioni che possono portare a un nuovo equilibrio economico tra le due potenze. Equilibrio che potrebbe passare anche attraverso la rimodulazione dell’acquisto dei Treasury, una potente arma di ricatto in possesso di Pechino. La motivazione di ‘facciata’ è che il debito degli Stati Uniti, di cui la Cina è di gran lunga il maggior detentore straniero con 1.189 miliardi di dollari, viene ritenuto eccessivo e quindi a rischio solvibilità nel medio lungo termine. Pechino, negli ultimi decenni, ha investito gli ingenti avanzi della propria bilancia commerciale in asset finanziari in tutto il mondo, privilegiando i titoli di stato (senza tuttavia disdegnare gli investimenti azionari e immobiliari). In ottica puramente finanziaria, è lecito da parte delle autorità cinesi rallentare o sospendere gli acquisti se ritengono che il debito americano sia ora meno affidabile.

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D’altra parte proprio martedi 17 gennaio l’agenzia di rating cinese Dagong ha rivisto il proprio giudizio sul debito statunitense declassandolo da A- a BBB+ sottolineando il potenziale impatto negativo sul debito (stimato in ulteriori 1.400 miliardi di dollari nei prossimi anni) per effetto della riforma fiscale varata da Washington. Ma proprio quest’ultima scelta dell’agenzia Dagong ha fatto aumentare i timori che le ragioni in base alle quali Pechino starebbe valutando un rallentamento negli acquisti di Treasury siano altre. C’è infatti la preoccupazione che si stia delineando una potenziale escalation in termini di sanzioni e ritorsioni politiche e commerciali tra Stati Uniti e Cina. Trump è piuttosto infastidito sia dal fatto che la Cina non tenga a freno il suo alleato (Corea del Nord) e sia per il deficit della bilancia commerciale (-275,8 miliardi di dollari l’anno a favore della Cina).

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Pechino, dal canto suo, forte del debito americano in cassaforte, vuole ribadire a Washington chi ha il coltello dalla parte del manico: minacciando di non comperare altri titoli, i tassi salirebbero e con essi anche gli interessi che Washington dovrà poi pagare sul debito. L’impressione è che nel 2018 l’amministrazione Trump, che al Congresso difficilmente troverà la maggioranza per far passare leggi di interesse nazionale (quali, per esempio, quella sugli investimenti nelle infrastrutture e quella sulla riforma del welfare), potrebbe intraprendere azioni più incisive nell’ambito degli scambi commerciali internazionali: un terreno nel quale il presidente americano può mettere in pratica cambiamenti senza il via libera del Congresso e, soprattutto, riguadagnare consensi in vista delle elezioni di metà mandato.
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