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La partita a scacchi tra Jay e Mario

La posta in gioco è il cambio euro-dollaro: al capo della BCE non piace una moneta unica troppo forte, ma neanche troppo debole. Il problema del capo della Fed è non far salire troppo il biglietto verde, ma il suo compito è più difficile.

3 Maggio 2018 09:19
financialounge -  BCE dollaro euro Federal Reserve Jerome Powell Mario Draghi Morning News

Una settimana fa Mario Draghi era in qualche modo riuscito a far mettere la retromarcia all’euro, citando una ripresa economica stabile, ma ancora fragile e bisognosa dello stimolo monetario. Una settimana dopo il suo omologo americano Jay Powell (nella foto in alto) ha anche lui in qualche modo frenato la ripresa del dollaro, che nelle ore immediatamente precedenti alla riunione del FOMC conclusa mercoledì sera stava andando a esplorare il territorio al di sotto dell’area 1,20 contro euro. Sembra proprio che il contenzioso commerciale tra americani e europei stia invadendo anche il territorio dei rapporti di cambio. Andiamo a leggere bene il comunicato con cui la Fed ha accompagnato la decisione di non toccare i tassi – nessuno se lo aspettava - e le attese si concentrano su giugno.

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TRA LE RIGHE DEL COMUNICATO


Prima il passaggio sull’inflazione: l’ultima volta aveva parlato di prezzi al consumo che “continuano a viaggiare” sotto il target del 2%, ora dice che a distanza di 12 mesi l’inflazione “si è avvicinata” al target del 2%. Come dire, obiettivo in vista, tra qualche quartino potremo permetterci il lusso di interrompere il ciclo di rialzi. Il mercato ha reagito spingendo il dollaro al ribasso oltre quota 1,2 su euro. Ma poi c’è un altro passaggio, che dice che gli investimenti “stanno segnando una forte crescita”, mentre la versione precedente parlava di “rallentamento” rispetto al quarto trimestre. Sicuramente un riconoscimento alla riforma fiscale di Trump, diretta proprio a far ripartire gli investimenti. Ma anche una forse involontaria spintarella al dollaro: se c’è una corsa agli investimenti in USA potrebbe attirare anche capitali stranieri, il che vuol dire acquisti sul dollaro. Infatti il biglietto verde ha recuperato rientrando sotto 1,20 contro euro.

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LA BOTTE PIENA DI TRUMP


Draghi e Powell in sintonia o in rotta di collisione? Sicuramente nessuno dei due ha troppa voglia di farsi trascinare nella guerra dei dazi. Altrettanto sicuramente al primo piace un euro almeno non troppo forte, ma neanche troppo debole, perché darebbe argomenti ai falchi che vogliono che metta fine al QE al più presto, mentre al secondo non piace un dollaro che si apprezza troppo velocemente, perché lo esporrebbe a critiche dalla Casa Bianca che lo ha appena nominato presidente. Il problema è che Trump non può avere tutto, la botte piena e la moglie ubriaca. Se l’economia americana va alla grande e le sue riforme fiscali funzionano deve anche accettare un dollaro che si rafforza. A Jay il compito di non farlo correre troppo.
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